Part time agevolato: cronaca di un flop annunciato

Con una nota dello scorso 20 Febbraio l’ANCL, il sindacato unitario dei consulenti del lavoro, tira le somme sulla misura del part-time agevolato prima della pensione, dopo quasi un anno dalla sua entrata in vigore.
Lo scorso 2 giugno 2016, era infatti entrato in vigore il Decreto Interministeriale firmato il 7 aprile 2016, la norma che rendeva operativa la misura del part time agevolato prima della pensione già contenuta nella Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015).

Part-time agevolato: come funziona

La misura, di carattere sperimentale e riservata ai lavoratori del settore privato con contratto full time a tempo indeterminato, consentiva ai lavoratori che possedevano il requisito minimo per la pensione di vecchiaia (ovvero 20 anni di contributi) e che avrebbero raggiunto il requisito anagrafico per il pensionamento entro il 31 dicembre 2018 di concordare il passaggio al part-time, ottenendo una riduzione dell’orario di lavoro tra il 40% e il 60%, che il lavoratore non avrebbe potuto impiegare in un nuovo lavoro né nel settore pubblico né come autonomo.
L’accesso al part-time agevolato, che avviene su richiesta del lavoratore, era reso operativo dalla firma di un contratto tra impresa e lavoratore dove veniva prevista una riduzione dell’orario di lavoro per un periodo di durata pari al lasso di tempo che intercorreva tra la firma del contratto stesso e il raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione da parte del lavoratore (67 anni e sette mesi entro il 31 dicembre 2018).
In questo periodo di lavoro a orario ridotto, l’impresa avrebbe corrisposto al lavoratore una retribuzione proporzionalmente decurtata ma anche una somma esentasse, corrispondente ai contributi previdenziali sulla retribuzione dell’orario non lavorato.
Anche lo Stato avrebbe fatto la sua parte in questo nuovo strumento dal momento che si impegnava a riconoscere al lavoratore la contribuzione figurativa per la prestazione non effettuata: in tal modo, il lavoratore, al momento della maturazione dell’età pensionabile, avrebbe potuto percepire l’intero importo della pensione, senza essere penalizzato.

L’ANCL sul Part-time agevolato

Già al momento dell’emanazione del Decreto Interministeriale l’ANCL aveva ritenuto la norma fallimentare, un giudizio ampiamente confermato dai dati, dal momento che, dal 2 Giugno 2016, data dell’entrata in vigore della misura, le domande accolte dall’Inps sono state appena 200. Le ragioni del flop, secondo l’ANCL, vanno individuate nella natura dello strumento che prevedeva un accordo tra lavoratore e impresa di cui, però, avrebbero beneficiato soprattutto i lavoratori.
Per pubblicizzare la misura del part-time agevolato era stata attivata anche una campagna di comunicazione istituzionale per far conoscere a lavoratori e imprese i vantaggi dello strumento ma anche quest’azione si è rivelata di scarsa utilità. Il fallimento dello strumento è da considerarsi pressoché uniforme sull’intero territorio nazionale, dal momento che le domande accolte sono state:

  • 33 in Lombardia;
  • 21 nel Lazio;
  • 5 rispettivamente in Liguria e nelle Marche;
  •  solo una in Molise, Basilicata e Valle d’Aosta;

Perché il part-time agevolato è (stato) un flop

La misura del part-time agevolato si è rivelata finora fallimentare perché, seppur vantaggioso per i lavoratori vicini alla pensione, è meno conveniente per le aziende che sono tenute a pagare una quota in più rispetto alle ore effettivamente lavorate (e ai contributi relativi).
Secondo l’ANCL, per essere davvero efficace lo strumento avrebbe dovuto prevedere anche un’agevolazione aggiuntiva per le imprese che, in tal modo, avrebbero ritenuto la misura vantaggiosa. Quest’agevolazione aggiuntiva avrebbe potuto anche non essere generalizzata a tutte le domande di part-time agevolato ma essere riservata ai soli casi in cui il posto del lavoratore in part time agevolato, veniva integrato da una nuova assunzione, anche part time; in tal modo oltre l’uscita dal mondo del lavoro sarebbe stato agevolato anche il ricambio generazionale nelle imprese, con un sicuro vantaggio anche per la produttività e per la (riduzione della) disoccupazione.